Che cos’è l’ossigeno medicale e in che cosa consiste la trasformazione da liquido a gassoso
Da quando, in Italia, dal primo maggio 2010, l’ossigeno liquido è utilizzato anche in ambito ospedaliero, esso è divenuto anche un farmaco a tutti gli effetti.
La sua produzione e la sua commercializzazione è regolata dal Decreto Legislativo n° 219/06.
Non a caso abbiamo utilizzato il termine “anche” poiché, sebbene il suo utilizzo sia prevalentemente nel campo medico, l’ossigeno liquido è classificato come un gas industriale in ambito commerciale: pensiamo al suo utilizzo come ossidante nei razzi spaziali e, in genere, nell’industria aerospaziale.
Il nostro focus, tuttavia, sarà proprio sull’uso dello stesso in campo medico, nonché del ruolo che ha BAMA-Technologies all’interno della catena produttiva e di distribuzione.
Dall’ossigeno naturale all’ossigeno medicale
Per ben comprendere come l’ossigeno possa essere d’aiuto, se considerato come presidio medico, dobbiamo partire dal presupposto che l’uomo è da immaginarsi come una macchina complessa che, per “funzionare”, ha la necessità di combustibile, rappresentato dagli alimenti, e di comburente, quindi l’ossigeno, capace di trasformare il carburante in energia.
Dobbiamo tener conto, però, del fatto che l’aria che respiriamo quotidianamente è il composto di due gas principali, ossia azoto ed ossigeno, con il secondo, peraltro, presente in percentuale decisamente minore del primo (21% circa).
Ecco che, ogni qualvolta una malattia respiratoria rende difficile l’approvvigionamento di ossigeno nel sangue, facendone scendere la concentrazione (e mai come in questo periodo, purtroppo, si sente parlare di saturimetria, a causa delle conseguenze del Covid-19), entra in gioco la possibilità di andare a ricercare altre fonti di ossigeno, stavolta più sostanziose in percentuale, che possano consentire di ripristinare il giusto fabbisogno. Tali fonti sono rappresentate proprio dall’ossigeno medicale contenuto in bombole ed usato in terapia puro al 100%, in forma liquida o gassosa.
A proposito della produzione di gas medicinali, ed in particolare dell’ossigeno medicale, è importante sottolineare che la stessa è divisa in due categorie:
- produzione primaria: con essa si intende la produzione del gas medicinale “in bulk”, quindi è assimilabile alla produzione del principio attivo;
- produzione secondaria: è il processo mediante il quale si attua il processo di riempimento dei contenitori (quindi bombole e contenitori criogenici), in pratica con essa si può intendere la produzione del prodotto medicinale finito.
BAMA-Technologies si pone in entrambe le fasi poiché uno dei nostri compiti, in tale ambito, è pulire a regola d’arte i tubi che servono nelle fasi di produzione del gas medicinale nonché i contenitori di trasporto dell’ossigeno, sia esso liquido che gassoso.
Le fasi di produzione dell’ossigeno medicale
Cerchiamo di capirne di più proprio riguardo le fasi che riguardano la produzione dell’ossigeno medicale.
Come detto in precedenza, l’atmosfera terrestre prevede una presenza di ossigeno solamente in una percentuale del 21%: ne consegue che la produzione dell’ossigeno, inteso come farmaco, necessita in prima battuta di una purificazione e separazione degli elementi dell’atmosfera stessa.
A tal fine, viene utilizzato un impianto di frazionamento dell’aria – detto anche Air Separation Unit – con il quale si vanno ad eseguire alcune fasi. In particolare:
- l’aspirazione;
- la filtrazione;
- la compressione, che ne permette di ridurne il volume;
- il raffreddamento;
- la separazione;
- l’estrazione.
Talvolta, la riduzione del volume dell’ossigeno è ottenuta tramite la liquefazione anziché la compressione: se un gas è liquefatto (ossigeno liquido), ha il vantaggio di poter essere conservato ad una pressione minore del gas ottenuto dalla compressione e, quindi, di eludere le problematiche di sicurezza collegate alla gestione dei recipienti sotto pressione (bombole di ossigeno).
Infatti, la manipolazione dei contenitori di ossigeno liquido espone gli operatori ai rischi connessi alla presenza di un contenuto pericoloso: il contatto prolungato con il gas conservato in forma liquida a temperature molto basse può provocare lesioni da congelamento molto gravi. Inoltre, essendo l’ossigeno il comburente per eccellenza, una sua eventuale fuoriuscita dal contenitore, provocherebbe un aumento della concentrazione dell’ossigeno gassoso nell’aria e, di conseguenza, aumenterebbe il rischio di innesco e sviluppo di incendi, specie in ambienti chiusi e scarsamente ventilati.
Per la conservazione di tali gas liquefatti si utilizzano le cosiddette bombole di gas dette anche “vasi dewar”, dei contenitori dall’alta capacità di isolamento termico. Infatti, un vaso dewar è costituito da due recipienti posti uno all’interno dell’altro al fine di creare un’intercapedine in cui, talvolta, si inserisce anche del materiale isolante.
Vengono così a crearsi delle condizioni che riducono al minimo lo scambio di calore per conduzione tra il contenitore esterno e quello interno tale accorgimento fa sì che i gas liquefatti possano essere conservati a temperature molto basse ed a pressioni simili a quella atmosferica. Tale ultima caratteristica permette anche la ricarica automatica dei cosiddetti “stroller”, vale a dire contenitori portatili utilizzati dai pazienti che necessitano di terapia con ossigeno.
Il prodotto finito così ottenuto, normalmente in fase liquida criogenica, viene immagazzinato in appositi serbatoi di contenimento dai quali viene successivamente trasferito, con idonee autocisterne.
Viene quindi immesso in altri serbatoi situati normalmente presso gli utilizzatori finali (ospedali, cliniche, eccetera) o presso altre aziende che fanno somministrazione di ossigeno.
Quest’ultime provvederanno al successivo riempimento di recipienti trasportabili (bombole, contenitori criogenici) destinati a loro volta alla utenza finale (pazienti) o ad altri depositi per la successiva distribuzione.
Come accennato, l’ossigeno medicale viene utilizzato sia in forma liquida che gassosa. Quando si vuol ottenere il gassoso, i contenitori di grandi dimensioni (tank o evaporatore freddo), che si trovano in aree esterne appositamente allestite all’esterno delle aziende ospedaliere, sono collegati a scambiatori di calore per la conversione del fluido dallo stato liquido a quello gassoso.
Una volta ottenuto l’ossigeno gassoso, esso viene distribuito ai reparti tramite una rete centralizzata.
L’ossigeno gassoso è utilizzato usualmente per urgenze e nel caso di malati terminali.
Requisiti normativi
Infine, accenniamo alla normativa di riferimento che va a definire la funzione e le caratteristiche tecniche dell’evaporatore freddo (o tank). Essa è rappresentata dalla circolare del Ministero dell’Interno n° 99 del 15/10/64.
Il D. Lgs. n° 46/97 ha successivamente stabilito che, nel caso essi facciano parte di un impianto per l’erogazione di gas medicinali, devono essere considerati dispositivi medici. A tal fine, si dispone che debba essere rilasciata una dichiarazione di conformità CE da apposito ente certificatore.
Gli impianti, poi, devono essere progettati, realizzati e collaudati come definito dalla norma europea UNI EN 737-3 che va a definire i requisiti tecnologici, strutturali ed organizzativi per l’esercizio delle attività sanitarie nelle strutture pubbliche e private.
Infine, per quanto concerne le operazioni di ricarica degli stroller, la circolare ministeriale P805 4122 del 9 giugno 2005 stabilisce che esse “devono essere effettuate da personale specializzato al di fuori della struttura ospedaliera o in appositi locali di quest’ultima purché compresi nelle sole aree di tipo B, secondo la classificazione delle aree dettata dalla norma”.